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Poesia russa / Josif Brodskij




Per la serie dei titoli trascurati o non più ristampati, ingiustamente dimenticati, proponiamo alcuni testi dalla raccolta Fermata del tempo, uscita nel 1987 per la collana de Lo Specchio Mondadori, con la traduzione di Giovanni Buttafava.

Josif Brodskij è uno dei maggiori poeti e interpreti della contemporaneità, autore di saggi letterari cruciali. Nato a Leningrado nel 1941, ha vinto il Premio Nobel per la letteratura nel 1987 e nel 1991 è stato nominato Poeta laureato negli Stati Uniti, dove si era trasferito. È morto a New York nel 1996.



SONETTO


Peccato che per te la mia esistenza

diventata non sia quello che invece

per me la tua esistenza è diventata.

… Dal mio deserto vecchio un’altra volta


lancio in un cosmo di filo spinato

un mio soldino stemmato, tentando

di celebrare disperatamente

un momento d’accordo… Chi non sa


sostituire il mondo con se stesso,

gira il disco sbrecciato del telefono,

come fa il medium con il tavolino,


in cerca d’un fantasma che risponda,

facendo eco agli ultimi lamenti

d’una sirena in corsa nella notte.


*


ENEA E DIDONE


Guardava la finestra il grande uomo.

Per lei il mondo finiva con il lembo

della tunica greca

di lui, larga di pieghe, onde d’un mare

fermo.

Guardava le finestre lui,

e il suo sguardo fu subito lontano,

tanto che le sue labbra si gelarono,

come conchiglia che racchiuda in sé

rimbombi. L’orizzonte nel boccale

era fermo.

E l’amore di lei era

come un pesce, capace di gettarsi

dietro la nave, tagliando le onde

con il suo corpo agile,

e forse raggiungerlo, ma lui

già era approdato sulla terra ferma

con la sua mente e si era trasformato

in un mare di lacrime quel mare.

Ma proprio nei momenti disperati,

si sa, il buon vento comincia a soffiare.

E allora il grande uomo

abbandonò Cartagine.

La donna

stava ritta davanti al grande rogo

attizzato dai suoi sudditi sotto

le mura cittadine

e nella nebulosità tremante

fra fiamma e fumo vedeva Cartagine

disfarsi senza suono

prima dell’anatema di Catone.


*


NATURE MORTE / 1


E gli uomini e gli oggetti ci circondano.

Ci dilaniamo gli occhi gli uni e gli altri.

Meglio vivere al buio.


Siedo su una panchina al parco e seguo

con gli occhi una famiglia di passanti.

La luce mi ripugna.


Gennaio. Inverno. Seguo il calendario,

quando m’avrà ripugnato la tenebra,

comincerò a parlare.


*


2


È tempo. Sono pronto ad iniziare

non importa che cosa. Apro la bocca.

Posso tacere. Ma è meglio che parli.


Di che? Dei giorni, delle notti. Oppure

di nulla. Oppure degli oggetti. Degli

oggetti non degli uomini. Morranno,


essi morranno tutti e anch’io morrò.

È una fatica sterile parlarne.

Come scrivere al vento.


*


LAGUNA / I


Nella hall tre vecchiette lavorano a maglia

dentro profonde poltrone discorrono

della Crocifissione.

La pensione «Accademia», con il mondo intero,

nuota verso il Natale

sull’onda di un brusio televisivo.

Ficcando il libro mastro sotto il braccio,

gira la porta a ruota l’impiegato.


*


II


Sulla scaletta sale un pensionato a bordo

della sua camera, con una grappa in tasca,

uomo in impermeabile, un nessuno,

che ha perduto memoria, patria, figlio;

se mai qualcuno piange di lui,

piange sulla sua gobba

in qualche bosco un trèmolo.


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