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Poesia brasiliana / Cecília Meireles



Cecília Meireles nacque il 7 novembre del 1901 a Rio de Janeiro. Restata orfana di padre e di madre, appena all’età di due anni, e unica sopravvissuta di quattro figli, fu allevata dalla nonna materna, di origini portoghesi, Jacinta Garcia Benevides. Iniziò a scrivere i primi componimenti poetici già all’età di nove anni. Divenne insegnante di scuola elementare e nel 1919 pubblicò il suo primo volume, composto da diciassette sonetti di profonda matrice simbolista, con prefazione di Alfredo Gomes, dal titolo Espectros. Tre anni più tardi sposò l’artista plastico Fernando Correia Dias, da cui ebbe tre figlie. A partire dal 1930, oltre a dedicarsi alla poesia, dopo la pubblicazione di varie raccolte di rilevante successo di critica, iniziò a scrivere anche articoli sui temi dell’educazione e dell’istruzione, che furono pubblicati sul Diário de Notícias. Nel 1934, fu responsabile della creazione della prima biblioteca infantile del Brasile. Nel 1935, il marito, affetto da crisi depressive per le quali non aveva mai accettato di sottoporsi a trattamenti medici, si tolse la vita, all’età di quarantatré anni. Nel 1936, Cecília Meireles assunse l’incarico di docente di Letteratura Luso-brasiliana e di Tecnica e Critica Letteraria dell’Università del Distretto Federale. Nel 1940, tenne un corso di Letteratura e Cultura brasiliana all’Università del Texas, negli Stati Uniti. Nel 1941 diresse la rivista Travel in Brazil. Morì a Rio il 9 novembre del 1964. La sua poesia può essere considerata facente parte della seconda generazione della poesia modernista brasiliana, caratterizzata da tematiche che si innestano tra innovazione e tradizione, come il conflitto esistenziale e spirituale, la solitudine, la nostalgia, il male di esistere ma anche elementi di critica sociale e politica. Utilizzò sia il verso libero sia quello tradizionale, facendo largo utilizzo di allitterazioni, assonanze, sinestesie. È considerata una delle più emblematiche poetesse brasiliane del Novecento, e insignita di numerosi riconoscimenti, tra i quali il Premio Olavo Bilac dell’Accademia brasiliana delle lettere (1938), l’Ordine al Merito in Cile (1952); la laurea honoris causa dell’Università di Nuova Delhi (1954); il Premio Machado de Assis dall’Accademia brasiliana delle lettere (1965).

La traduzione e l’introduzione sono di Emilio Capaccio, i testi provengono dalla raccolta Viagem (1939).



ANNUNCIAZIONE


Suona questa musica di seta, frusciante e tremula,

che solo culla la notte e dondola le stelle su un altro mare.


Dal fondo dell’oscurità nascono vaghe navi d’oro,

con mani di corpi dimenticati quasi sfatti nel vento.


E il vento batte sulle corde e trasaliscono le vele opache

e l’acqua scioglie un brillio fino che presto in sé stesso si perde.


Suona questa musica di seta tra le sabbie e le nuvole e le schiume.


I remi si fermeranno nel mezzo dell’onda sopra i pesci sospesi:

e le corde spezzate andranno nell’aria danzando alla cieca.


Cesserà questa musica d’ombra che indica solamente valori d’aria.

Non avremo più la nostra vita, forse non avemmo neppure il poco che fummo.


E la memoria di tutto disfarà le sue dune deserte

e in navi nuove uomini eterni navigheranno.


*


ANUNCIAÇÃO


Toca essa musica de seda, frouxa e trêmula

que apenas embala a noite e balança as estrelas noutro mar.


Do fundo da escuridão nascem vagos navios de ouro,

com as mãos de esquecidos corpos quase desmanchados no vento.


E o vento bate nas cordas, e estremecem as velas opacas,

e a água derrete um brilho fino, que em si mesmo logo se perde.


Toca essa musica de seda, entre areias e nuvens e espumas.


Os remos pararão no meio da onda, entre os peixes suspensos;

e as cordas partidas andarão pelos ares dançando à toa.


Cessará essa musica de sombra, que apenas indica valores de ar.

Não haverá mais nossa vida, talvez não haja nem o pó que fomos.


E a memória de tudo desmanchará sua dunas desertas,

e em navios novos homens eternos navegarão.


*


ORIGINE


Il tempo ha generato il mio sogno nella stessa ruota del vasaio

che ha modellato Sirio e la Stella Polare.

La luce ancora non è nata e la forma ancora non è pronta:

ma la sorte dell’enigma già si sente respirare.


Non c’è nord né sud: e solo venti senza nome

vorticano con la nascita — per farla più veloce.

E la musica generale, che circola nelle vene dell’ombra,

prepara il mistero alato della sua voce.


Il mio sogno vuole appena la misura della mia anima,

— esatto, luminoso e semplice come un anello.

Di tutto quanto esiste, cinge solamente ciò che non muore,

perché il cielo che lo ha inventato cantava sempre eternità

ruotando la sua argilla fedele.


*


ORIGEM


O tempo gerou meu sonho na mesma roda de alfareiro

que modelou Sirius e a Estrêla Polar.

A luz ainda não nasceu, e a forma ainda não está pronta:

mas a sorte do enigma já se sente respirar.


Não há norte nem sul: e só os ventos sem nome

giram com o nascimento — para o fazerem mais veloz.

E a música geral, que circula nas veias da sombra,

prepara o mistério alado da sua voz.


Meu sonho quer apenas o tamanho da minha alma,

— exato, luminoso e simples como um anel.

De tudo quanto existe, cinge sòmente o que não morre,

porque o céu que o inventou cantava sempre eternidade

rodando a sua argila fiel.


*


RESURREZIONE


Non cantare, non cantare, perché vedono da lontano i naufraghi,

vedono i prigionieri, i loschi, i monaci, gli oratori, i suicidi.

Vedono le porte, di nuovo, e il freddo delle pietre, delle scale,

e, in una veste nera, quelle due mani antiche.


E una candela di mobile fiamma fumosa. E i libri. E gli scritti.

Non cantare. La piazza affollata si fa buia e sotterranea.

E il mio nome s’ascolta in sé, triste e falso.


Non cantare, no. Perché era la musica della tua

voce che s’udiva. Sono morta di recente, ancora in lacrime.


Qualcuno ha sputato distrattamente sulle mie ciglia.

Per questo mi sono accorta che era così tardi.


E ho lasciato che il sole restasse sui miei piedi e camminassero le mosche.

E colasse dai miei denti una lenta saliva.

Non cantare, perché mi sono fatta le trecce, ora,

e sono davanti allo specchio, e so che è meglio che fuggire.


*


RESSUREIÇȂO


Não cantes, não cantes, porque veem de longe os náufragos,

veem os prêsos, os tortos, os monges, os oradores, os suicidas.

Veem as portas, de novo, e o frio das pedras, das escadas,

e, numa roupa preta, aquelas duas mãos antigas.


E uma vela de móvel chama fumosa. E os livros. E os escritos.

Não cantes. A praça cheia torna-se escura e subterrânea.

E meu nome se escuta a si mesmo, triste e falso.


Não cantes, não. Porque era a música da tua

voz que se ouvia. Sou morta recente, ainda com lágrimas.


Alguém cuspiu por distração sobre as minhas pestanas.

Por isso vi que era tão tarde.


E deixei nos meus pés ficar o sol e andarem môscas.

E dos meus dentes escorrer uma lenta saliva.

Não cantes, pois trancei o meu cabelo, agora,

e estou diante do espêlho, e sei melhor que ando fugida.


*


CONVENIENZA


Conviene che il sonno abbia margini di nuvole passeggere

e gli uccelli non si spieghino e i vecchi vadano per il sole,

e gli amanti piangano, baciandosi, per qualche infanticidio.


Conviene tutto ciò, e molto di più, molto di più…

E per questo motivo eccomi qui, come fogli aperti

che cadono dalle finestre degli edifici, scioccamente…


Dopo le strade e i treni e le navi

troverò casualmente la sala che alla fine cercavo,

e il mio ritratto, sulla parete, guarderà negli occhi che porto.


E ripiegherò il mio corpo in qualche letto duro e freddo.

(I grilli dell’infanzia canteranno nell’erba…)

E penserò: «Che bello! Non bisogna neppure respirare! ...»


*


CONVENIÊNCIA


Convém que o sonho tenha margens de nuvens rápidas

e os pássaros não se expliquem, e os velhos andem pelo sol,

e os amantes chorem, beijando-se, por algum infanticídio.


Convém tudo isso, e muito mais, e muito mais...

E por êsse motivo aqui vou, como os papéis abertos

que caem das janelas dos sobrados, tontamente...


Depois das ruas, e dos trens, e dos navios,

encontrarei casualmente a sala que afinal buscava,

e o meu retrato, na parede, olhará para os olhos que levo.


E encolherei meu corpo nalguma cama dura e fria.

(Os grilos da infância estarão cantando dentro da erva...)

E eu pensarei: «Que bom! nem é preciso respirar! ...»


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