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Alessandro Pancotti, Il re dei bugiardi


L’ultima e breve raccolta di Alessandro Pancotti, Il re dei bugiardi (Stampa2009, Varese 2020), dimostra che non serve pubblicare molti versi per esistere, bastano pochi testi curati. Pancotti ha ritmi lenti, lentissimi, e questo fa bene alla sua scrittura, che ha tempo di fermentare e di stratificarsi. Come segnala la prefazione di Maurizio Cucchi, Pancotti si muove in «un ambiente di umana semplicità», ma soprattutto «persuade la sua naturalezza nel dare vita a testi in cui subito si avverte la qualità di una sabiana scontrosa grazia».

La plaquette inizia dopo la fine («La prima volta che sono morto.») e la citazione del protosurrealista Jacques Vaché chiarisce la centralità dell’identità nella riflessione dell’autore, indagata a fondo anche nel libro d’esordio, Le iniziali (2014). La messa a fuoco dei personaggi è convincente («Gli unici momenti rimasti. Per fughe, ricerche. Tutta la vita. Non c’è tempo. Nelle ore in prestito o da obbediente impostore, in ufficio.») e la menzogna, come in Antonio Gamoneda, diventa stilistica: «Nel tempo quei binari, per me, che quasi non c’entro niente… – e ogni tanto ancora ci penso... – sono diventati parte della mia storia, di certe origini qui, che mi piace andare a comporre, scoprire. Se non è troppo, è l’unico sistema che ho». La mistificazione sembra più solida della realtà stessa («Ha proprio vissuto là / per i primi anni / con la famiglia e già che c’era / perché non anche alcuni mesi / in Venezuela e Argentina, / per i trasferimenti del padre s’intende.») ma presenta il conto: «quando compila moduli / sono giornatacce, se si deve / iscrivere. Molte volte / agli sportelli ha risposto / sì, provincia di Como / per cui non è escluso / se ci fantastico un po’ / che per qualche ufficio / – io – risulti nato a Como».

In questa spaccatura tra realtà e comunicabilità, in questa differita, la poesia sembra affiorare spontaneamente superando il letterale: «Il cielo una perfetta panna montata e insieme impossibile». Un distacco che amplifica la presenza, forse un antidoto. Più avanti si fa plastico: «Sarà come una luce fino a spegnersi. / Ho una mostra in programma e un sipario. / Una donna incinta piange / nell’angolo parla, una mamma: / “Avrai mica la febbre?”, in braccio / la sua bambina. / Parlano di un sito Internet – ascolta: / “Per le pareti della camera, tesoro / meglio un rosso, non trovi?” // Alla cassa, saltimbocca… il cameriere / sorride, la ragazza… e prende la mancia. / Aspetta che si alzi per guardarle il sedere...». Si fa spesso ricorso a dialoghi diretti, plausibili e pulsanti. Attimi di sollievo in una catena di «Momenti atroci».

Occorre sottolineare, visti i tempi da scrittura improvvisata, il lavorio ossessivo e maniacale sulle sillabe, sulla punteggiatura, sugli spazi bianchi. Una ricerca linguistica che amplifica l’effetto musicale da humour nero e che permette al poeta di passare dal verso disteso e narrativo alle strofe di ottonari, da brevi liriche d’amore (come Hotel Auriga) alla prosa, alle quartine e terzine che proponiamo qui sotto. Pancotti ha letto i poeti giusti e ne ha fatto tesoro: lo scavo metrico-esistenziale di Maurizio Cucchi, la dolente giocosità di Vivian Lamarque (nelle scene di deliziosa crudeltà), la lezione del grande Luciano Erba – nella leggerezza volteggiante de Il professore (all’ultima sessione estiva).

Alberto Pellegatta



ALLA BANCA

Me ne sto su Internet metà mattina

il sito della Gazzetta dice

che abbiamo comprato

un difensore, che era ora.

Poi rispondo a questo fornitore

è una settimana che mi chiede

la stessa fattura via e-mail

ma non la riceve e non la vuole cartacea.

È l’home banking che non va

anche. Dovrò portargli l’assegno

ma l’assegno loro non lo accettano più.

Come faccio a pagare?

Allora devo prelevare

ma solo fino a un certo importo

che di più non è consentito

bisogna dirlo qualche giorno prima.

Così procurano i soldi quelli della banca

ma in banca non ce li hanno al momento

però io li vedo se mi collego adesso

con il PC. Sarà. Però no è meglio

che vado di persona, tra l’altro

chissà in quale registrazione finirò

e se qualcuno è lì che mi controlla

mentre prelevo allo sportello

che se salta la luce penso forse

non c’è più neanche un conto, un euro.

*

IL PROFESSORE (ALL’ULTIMA SESSIONE ESTIVA)

Brioschi col suo Panama Montecristi,

e andavamo dallo stesso barbiere.

Le ragazze lo adoravano, aveva

una speranza per tutti.

L’abito fa il monaco, e lo ricordo

volentieri. Lei dovrà portare qui

i suoi figli, i suoi figli studieranno

come ha fatto lei qui, su questi banchi.

Scriveva il voto sul libretto

e io pensavo, se lo dice lui

e anche alle vacanze.

Grazie, arrivederci.

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